Sindrome di Peter Pan
Quando incontrate “Peter Pan”, vi fa girare la testa; è pieno di energia e vitalità, ha sempre nuove idee e proposte, fa tutto e il contrario di tutto, ed è coinvolgente. Una ventata d’aria fresca.
Primo esempio
“Allora? Ti è piaciuta la giornata?“, chiede Peter.
“Sì, sì! Il bunging jumping e poi quell’agriturismo… davvero entusiasmante!”
“Bene, benissimo!”, sorride, “Ora che facciamo? Passiamo da quel nuovo pub che fa i cocktail flambè?“, propone indefesso.
“Ah… magari un’altra volta, la giornata è stata lunga, sai, quattro ore di macchina… sono le due e un quarto… e domani devo alzarmi presto…”
“Uffa… e daaaiii, non puoi lasciare perdere tutto? Ci stiamo divertendo” dice imbronciato.
“No, no, davvero , grazie”.
Arrivate a casa col fiatone, certo, siete felici perché vi ha portato sull’Isola che non c’è, ma rimettere piede a terra è un trauma, e bisogna farlo. Ecco, lui cose come la mediocrità piccolo borghese di routine, impegni e scadenze, proprio li capisce. È aria, non ha forma né direzione, è inafferrabile… e un po’ inaffidabile.
Secondo esempio
Sei mesi dopo, ore 11:03, squilla il telefono: “Fhrontho?”
“Peter?”
“Shì, shì… scusa, stavo mangiando…”
“Stavi… mangiando?! Peter, dovevi essere qui mezz’ora fa per andare alla comunione della figlia della sorella del marito di mia cugina!”
“Sì, sì, lo so, lo so. Sono pronto, prendo le chiavi e sono da te“, e annaspa, cercando di scollarsi dal divano, salva la partita e si pietrifica, valutando il da farsi: doccia? È tardissimo, ne farò a meno; vestiti? “Mamma, è pulita la camicia grigia?“.
Ore 11:47 in chiesa, lui è a disagio, ad ogni parente presentato sta peggio, un topo in trappola.
“Adesso possiamo andare?”
“Ma no! Adesso c’è il rinfresco”
“Oddio… ma non si può saltare? Dai, dai, andiamo a fare un giro, c’è un nuovo…”
“Peter! Per piacere!”
“Io non ci volevo venire, mi hai obbligato, ecco”
L’idea di essere di qualcuno e di definirsi lo soffoca, vuole essere libero. Allora pesta i piedi e scappa; si rivela un bambinetto capriccioso ed egocentrico. Perciò o vi preparate al rovinoso, ma liberatorio tonfo con relativa lussazione del coccige, o cominciate a fargli da mamma, la sua Wendy.
Ma cosa non va in lui?
Peter è infastidito dalle responsabilità e dai problemi da adulti. Li ignora perché spariscano e pensa che siano gli altri a crearli, forzandolo a fare ciò che non vuole, aspettandosi da lui addirittura della maturità. Se cercate di afferrarlo, è finita, kaputt, game over.
Mammina glielo diceva sempre che non doveva preoccuparsi di niente perché avrebbe pensato a tutto lei. Perciò:
- Il senso di responsabilità e di indipendenza non sa nemmeno cosa siano
- Ha bisogno di una Wendy che lo assecondi, lo accompagni alle giostre e gli metta il cerotto sulla bua quando casca per terra
Crescerà?
Dovrebbe scontrarsi con la realtà, responsabilizzarsi, superare la paura del dolore: un sacco di cose. Cose noiose, Peter ha sicuramente di meglio da fare.
Dovrebbe imparare ad amare. Peter non sa amare, perché da un lato lo costringerebbe ad accettare i suoi limiti (ma scherziamo?!); dall’altro un rapporto vero potrebbe farlo soffrire (e a che pro?).
Crede che l’amore gli sia dovuto, che sia incondizionato, come quello della mamma; non gli passa per l’anticamera del cervello che amare significa anche aprirsi e dare se stesso. I nodi vengono al pettine, lui non sa chi è davvero.
S’illude di potere ancora diventare chiunque lui voglia (l’astronauta, l’archeologo, Batman), desidera essere unico, quindi cerca mille e mille nuove esperienze che lo rendano speciale, ma così frammenta la sua personalità e non ha una individualità definita. Peter non può concedersi a nessuno perché non è nessuno, non ha un “Io” da donare all’altro, se non l’immagine idealizzata che ha di sé. E quella può anche tenersela, no?